Decreto Ingiuntivo:
Hai
ricevuto un decreto ingiuntivo o un precetto dalla banca? Scopri come
difenderti contestando il presunto credito bancario!
La
banca ti ha notificato un decreto ingiuntivo, una richiesta di pagamento? Puoi
difenderti perché molto probabilmente il credito vantato dalla banca non è
corretto in quanto inficiato da applicazione di competenze indebite
(anatocismo, interessi ultra-legali, commissioni di massimo scoperto non
dovute, spese non pattuite, applicazione di interessi usurari).
La
Banca può reclamare le somme che ti ha dato a prestito attraverso tre tipi di
strumenti:
- Il
decreto ingiuntivo;
- Il
precetto;
- Le
azioni esecutive.
Spesso
accade che, dopo aver stipulato un mutuo o un’altra operazione di
finanziamento, non si riesca a coprire le rate dovute all’istituto bancario il
quale prontamente si munisce del tanto temuto decreto ingiuntivo per recuperare
il credito residuo.
Non
sempre però l’atto notificato al debitore è pienamente legittimo: cosa fare per
capire quando il decreto ingiuntivo presenta dei vizi e come tutelarsi?
Innanzitutto
è bene chiarire cosa s’intende con il termine decreto ingiuntivo.
Il
decreto ingiuntivo è quel provvedimento chiesto dal creditore ed emesso dal
giudice con il quale il primo pretende dal debitore la restituzione della somma
di denaro dovutagli. Qualora il debitore ritenga che il decreto in esame sia
infondato o presenti dei vizi potrà far valere le proprie ragioni mediante la
cd. opposizione al decreto ingiuntivo.
L’opposizione
è un atto con il quale il debitore contesta le pretese del creditore dando
avvio ad un vero e proprio processo ordinario nel corso del quale le richieste
creditorie dovranno essere pienamente provate.
Essa dev’essere fatta entro il termine
perentorio di 40 giorni dal ricevimento (dalla notifica) del decreto ingiuntivo
pena la perdita della possibilità di tutelare i propri diritti.
Un
aspetto particolarmente importante è quello inerente alla prova del diritto di
credito.
Al
fine di dimostrare l’esistenza di un rapporto di credito il legislatore
stabilisce la necessità della prova scritta: in altre parole il creditore non
può ricorrere ai testimoni per provare il proprio diritto, ma deve produrre in
giudizio atti scritti (ad es. fatture, contratti, etc.) da cui possa evincersi
l’esistenza del credito.
Nel
caso specifico delle banche di norma gli istituti di credito, al fine di
ottenere il decreto ingiuntivo, nel procedimento giudiziale allegano come prova
scritta il cd. Saldaconto, in luogo dell’estratto conto, richiesto espressamente
dal “Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”.
Tuttavia,
secondo la giurisprudenza ormai prevalente l’estratto di saldaconto non è
sufficiente ad ottenere un legittimo decreto ingiuntivo il quale sarà invalido
in quanto fondato su di una prova scritta inidonea a documentare il diritto di
credito.
Al
fine di ottenere un legittimo decreto ingiuntivo, la banca deve allegare al
ricorso sia la prova dell’avvenuta ricezione dell’estratto conto da parte del
cliente sia una copia del contratto di conto corrente redatto in forma scritta
secondo quanto previsto dal T.U.B.
Qualora
la banca non riesca a fornire la prova dell’avvenuta ricezione dell’estratto
conto da parte del cliente (che per legge dev’essere inviato dall’istituto di credito
al correntista con cadenza periodica), quest’ultima dovrà allegare al ricorso
tutti gli estratti conto relativi al rapporto con il cliente sin dal momento in
cui esso è sorto.
Peraltro
la legge prevede che uno dei dirigenti della banca deve certificare che
l’estratto conto è conforme alle scritture contabili e che il credito è vero e
liquido.
Inoltre,
poiché il dirigente è colui che certifica l’autenticità delle dichiarazioni e
delle documentazioni, è necessario che siano indicati con chiarezza il nome ed
il cognome del dirigente che ha compiuto l’attività di certificazione e che la
relativa firma sia leggibile.
La
mancanza anche di uno solo degli elementi elencati costituisce un altro motivo
di nullità del decreto ingiuntivo.
Dall’esame
poi della documentazione relativa al rapporto di finanziamento potrebbero
rinvenirsi altri motivi di nullità che potrebbero addirittura portare ad una
condanna della banca al risarcimento del danno cagionato al cliente. Ad es.
qualora il contratto contenesse clausole che rinviano ai cd. usi piazza per la
determinazione degli interessi oppure qualora si evincesse che l’istituto ha
applicato condizioni di CMS (Commissione di massimo scoperto) non espressamente
previste da apposite clausole contrattuali o qualora la banca avesse modificato
unilateralmente le condizioni contrattuali senza l’approvazione del cliente o
ancora nel caso di illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi
debitori a fronte di una capitalizzazione annuale degli interessi creditori.
Lo
strumento a disposizione del debitore per difendersi da una esecuzione
infondata, o per far valere i vizi del precetto e della sua notifica, è quello
dell’opposizione.
Si
distinguono in proposito le opposizioni all’esecuzione (art. 615 c.p.c., prima dell’inizio
dell’esecuzione forzata) dalle opposizioni agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.,
ad esecuzione forzata già intrapresa dal creditore).
Dinanzi
alla notifica del precetto e del titolo esecutivo, il debitore dovrà
distinguere: se le sue contestazioni hanno ad oggetto il diritto del creditore
a procedere ad esecuzione, dovrà utilizzare l’opposizione all’esecuzione, se
invece egli ritiene non corrette le modalità con cui ha è stata introdotta
l’esecuzione, dovrà esperire l’opposizione agli atti esecutivi.
L’opposizione
all’esecuzione (615 c.p.c.) ha lo scopo di contestare il diritto del creditore
a procedere all’esecuzione, l’inesistenza o la modificazione del diritto
riconosciuto nel titolo esecutivo, oppure ancora l’ammissibilità giuridica
della pretesa coattiva. Rientrano in questa forma le opposizioni che hanno ad
oggetto la legittimazione attiva o passiva dell’esecuzione (quando il debitore
contesta di essere il soggetto tenuto ad ottemperare all’obbligo, o quando è
contestato il diritto di quel creditore a procedere ad esecuzione in base al
titolo esecutivo). Altro caso che pregiudica il diritto all’esecuzione è quello
della sentenza provvisoriamente esecutiva che venga nel frattempo riformata in
appello, oppure del titolo che non sia dotato di esecutività, oppure ancora del
diritto che si sia estinto o modificato dopo la formazione del titolo
esecutivo.
L’opposizione
all’esecuzione proposta dopo la notifica del precetto e prima dell’inizio
dell’esecuzione, invece, è definita come opposizione “preventiva”, e viene
presentata con atto di citazione (con ricorso in materia di lavoro) al giudice
competente per materia, per valore e per territorio. Per i crediti di importo
non superiore ai 5.000,00 €, l’opposizione andrà presentata al Giudice di Pace,
mentre per i crediti di importo superiore, la competenza sarà del Tribunale,
salvo che la legge non preveda una speciale competenza per materia. Relativamente
alla competenza per territorio, si desume dall’art. 480 c.p.c. che
l’opposizione al precetto vada proposta al giudice del luogo in cui il
creditore ha dichiarato la residenza o ha eletto domicilio perché lì si trovano
i beni del debitore da sottoporre ad esecuzione. Se manca la dichiarazione di
residenza o l’elezione di domicilio del creditore, oppure il creditore ha
indicato un luogo dove non si trovano i beni del debitore da sottoporre ad
esecuzione, le opposizioni al precetto si propongono nel tribunale del luogo in
cui il precetto è stato notificato. Quando invece l’opposizione è presentata ad
esecuzione già iniziata, essa viene proposta ex artt. 615, secondo comma cpc e
617 cpc.
Il
giudice dell’opposizione all’esecuzione può sospendere l’esecuzione, se
ricorrono gravi motivi.
Si
tratta di un procedimento di natura cautelare. Per disporre la sospensione
dell’esecuzione, il giudice dovrà valutare la fondatezza della domanda ed il
suo possibile accoglimento, nonché l’esistenza di un pregiudizio per
l’opponente derivante dalla prosecuzione dell’esecuzione. Considerata la natura
cautelare del procedimento, è possibile presentare reclamo contro il predetto
provvedimento di sospensione.
In
ogni caso, la proposizione dell’opposizione determina la sospensione della
decorrenza del termine di novanta giorni di efficacia del precetto.
L’opposizione
agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) invece, è finalizzata a contestare, non
la legittimità del creditore a procedere ad esecuzione, bensì le modalità con
cui il creditore agisce in fase esecutiva.
Tutte le irregolarità relative al precetto ed alla notifica dello stesso
e del titolo esecutivo (la mancanza della formula esecutiva, la mancata
trascrizione del titolo esecutivo nel precetto, la mancata descrizione
dell’assegno o della cambiale, la sottoscrizione del precetto da parte di
avvocato privo di procura etc..), andranno fatte valere con questo strumento. L’opposizione
agli atti esecutivi deve essere presentata entro venti giorni dalla notifica
del precetto, mediante atto di citazione (o col ricorso per le materie di
lavoro e locazioni), dinanzi al Tribunale del luogo in cui il creditore ha
eletto domicilio o dichiarato la propria residenza (art. 480 c.p.c.).
Anche
l’opposizione agli atti esecutivi sospende il termine di novanta giorni
previsto per l’inizio dell’esecuzione. Con questa forma di opposizione, a
differenza di quanto previsto per l’opposizione all’esecuzione, non è possibile
chiedere al giudice di sospendere l’efficacia del titolo esecutivo.